
La corsa come tutto, in ogni epoca storica ed in ogni dove segue anche delle mode.
Le mode, termine che non bisogna considerare come negativo a priori, nascono per vari motivi.
Negli anni ’70 ci fu, a livello mondiale, una crisi petrolifera.
Nel 1973 in Italia il Governo di allora, dato l’eccezionale aumento del costo del petrolio, vietò la circolazione nei giorni festivi dei mezzi privati, obbligò a ridurre la pubblica illuminazione del 40% e di tenere spente insegne e scritte pubblicitarie.

Bar, ristoranti e trasmissioni televisive furono obbligati ad orari ridotti.
Non esistevano Internet, i computer, le reti televisive oltre alle tre della RAI.
La gente iniziò ad uscire di casa, a camminare e le manifestazioni podistiche, specialmente le non competitive, si riempirono di persone.
A Trento erano famosissime la “Luciolada” e la “Trento de Not”.
Le partenze erano in Piazza Duomo e Piazza Dante.
Le due piazze si riempivano di una folla variopinta, migliaia di persone.
C’erano manifestazioni a passo libero di 20/30 km.
Chi correva con impeto, chi faceva jogging. Molti camminavano.
Comunque un successo ed una cosa estremamente positiva per la salute fisica e la socializzazione.

I premi di partecipazione erano più che ricchi.
Medaglie pesantissime, piccoli trofei anche con pietre e argento.
Alle competitive partecipavano in pochi ma mediamente erano più forti di adesso.
I Cross erano più selvaggi.
Si saltavano muretti, si entrava nei torrenti. Ed erano più lunghi.
Non esistevano termini come trail, skyrace, vertical,… ma spesso i tracciati erano nei boschi con salite anche impegnative.

Arrivo poi Jim Fixx che cominciò a correre nel 1967 all’età di 35 anni. Era in sovrappeso e fumava due pacchetti di sigarette al giorno. Nel 1977, quando pubblicò “The Complete Book of Running”, era dimagrito di quasi 30 chili e aveva smesso di fumare.
Il libro vendette oltre un milione di copie e rimase per undici settimane al primo posto nella classifica dei libri più venduti.
Un’altra spinta alla corsa.
Anche se da noi c’era sempre questa mentalità che ciò che non fosse lavoro, casa o chiesa era sbagliato quindi spesso chi correva veniva deriso.
Non era figo.

Gli anni ’80 videro ancora molta gente che correva ma con gli ’90 iniziò un lento declino.
Calavano i non competitivi.
Gli agonisti no, ma non erano molti, e comunque tutti mediamente forti (alla “La Lagarina Maratonina della Pace” del 1993, ad esempio, io con un tempo di 1 ora 23 minuti e 39 secondi mi ero piazzato 126° su 327 mentre avessi fatto quel tempo alla “Trento Half Marathon” del 2019 mi sarei piazzato 57° su 855).
Nel 1986 il tempo medio di arrivo ad una maratona era di 3:52:53, oggi è di 4:32:49 con un peggioramento di oltre 40 minuti, quindi un andatura più lenta di quasi un minuto al km (ma l’età media dei partecipanti è passata da 35 a 39 anni).

In quegli anni stavano iniziando a venire anche atleti africani che fino ad allora partecipavano solo a manifestazioni molto importanti.
Comunque la gente era stufa di medaglie, trofei e coppe (per i primi).
Ora venivano date magliette di cotone e cesti con cibo.
Le case di abbigliamento sportivo si stavano accorgendo che il business collegato al podismo era enorme.
Erano ancora poche le marche che producevano scarpe e abbigliamento per l’atletica e la scelta era ridotta rispetto ad oggi.

Con gli anni 2000 inizia un altro boom per la corsa che ha il suo apice nel 2016 per poi avere una flessione (tranne che in Asia dove il trend è ancora positivo).
Iniziano ad aumentare le donne che fino ad allora erano poche, spesso pochissime.
Dal 2000 al 2016 la partecipazione a manifestazioni podistiche competitive si è sestuplicato!!!
E nel 2018 le donne hanno superato, per partecipazioni, il numero degli uomini.
Da un po’ basta con le magliette di cotone, ora tutte magliette tecniche.
Qualche volta un capo di abbigliamento diverso come pantaloncini, calzini o guanti.
Ma la maglietta è un must anche perché lo sponsor tecnico desidera che il suo logo venga visto e non c’è cosa migliore di una t-shirt…

Sempre con il 2000, circa, aumenta la voglia di partecipare ad una Maratona.
Anzi, molti iniziano a correre, per quello.
É un mito.
C’è la soddisfazione personale ma anche il poter dire di avere corso per 42km.
Anche questo sta avendo una flessione.
E tra le ragioni ci sono anche i molteplici infortuni da stress che interessano le persone interessate a questa disciplina.
Non tutti possono permettersi, specialmente se non giovani, di macinare una quantità di km così elevata e molti si sono accorti che c’è altro, molto altro, rispetto a fare 42 km di asfalto.
Ad affiancare corse su strada, nei boschi e nelle campagne sono arrivate le vertical, le skyrace, i trail.
Manifestazioni che fanno vivere il territorio a chi lo abita o a chi desidera correre nella natura.
In più non sono discipline dominate da atleti africani.
Anche corridori locali possono competere per la vittoria.
Certo richiedono, parlando di skyrace e trail, molto tempo per allenarsi, ma hanno anche il beneficio di portare meno stress mentale per chi non vuole competere ma vuole solo partecipare per divertirsi.
Non si ha l’assillo dell’andatura come le prove su strada, o peggio su pista, prevedono.

Ora ci sono proposte particolari come le “Virtual Race”.
Ad esempio la “The English Channel Virtual Fitness Challenge“.
Una persona si iscrive, fa dove e quando desidera una mezza maratona, spedisce agli organizzatori il tracciato con il tempo e riceve una medaglia (sigh!).
Oppure la “Camino de Santiago Virtual Challenge” dove una persona deve fare 772km anche correndo sul poggiolo per 7 km al giorno, e riceverà una medaglia.
Personalmente mi sembra una depravazione ma ognuno ha i suoi gusti 😉
PS
I dati statistici arrivano da uno studio condotto dalla IAFF
da Il Giornalino, settembre 1980: